Prefazione
di Marco Travaglio
Conosco Carlo Cornaglia da diversi anni. Praticamente da quando abbiamo tra i piedi Berlusconi, o giù di lì. Da allora – mi dicono – non è stato mai più lo stesso di prima. Era un moderato che votava repubblicano, un top manager industriale del ramo ambiente in pensione, un “ingegnere chimico di formazione classica”, marito esemplare e padre amorevole.
Il Cavaliere gli ha regalato una seconda vita, trasformandolo in un forsennato demonizzatore. Ma con una particolarità, rispetto agli altri (pochissimi, in verità) soci del club: lui demonizza in versi. Ottonari satirici in rima baciata. Questa è la seconda volta che mi chiede di introdurre un suo libro di filastrocche. L’altro fu “Qui finisce l’avventura”, la sua seconda opera. Uscito nel 2004.
Ora siamo alla quarta, ma con un bel salto di qualità. “Il Grande Gioco dell’Oca della politica italiana” è anche un passatempo di società, una specie di gioco dell’oca da fare in compagnia degli amici per ripassare le più recenti tragicommedie d’Italia, casomai ce ne fosse sfuggita qualcuna. Si parte dalle ultime Berluscomiche per proseguire col primo anno di Prodicomiche e chiudere in bellezza con le prime avvisaglie di un fenomeno curioso e originale, destinato a rivoluzionare, se non il mondo della politica, almeno quello del cabaret: il Partito Democratico, o Teodemocratico come lo chiama l’ingegner poeta.
Questo geniale labirinto in rima, molto meno complicato dei giochi di potere e di corrente e di poltrona degli ex-diesse e dei post-margheriti, nasconde comunque una via maestra, che alla fine si appalesa. Mentre il Pd non ce l’ha, o se ce l’ha non l’ha ancora trovata: “Ha un odore nauseante, / mix di vecchie ideologie / e muffite sacrestie, / di sezioni comuniste / e funzioni democriste. / Ha un colore molto strano, / mix fra un giallo vaticano / ed un rosa non convinto, / come un rosso molto stinto. / Frutto di una strana unione, / Don Camillo più Peppone, / è il bonsai dei compromessi / fra compagni e genuflessi”.
Mentre leggevo, anzi declamavo, gli stornelli cornaglieschi, ho ritrovato gli ultimi tre anni di vita politica e non solo politica, italiana e non solo italiana, raccontati con la penna intinta nel curaro. I furbetti del quartierino, Vallettopoli, Calciopoli, Spiopoli, la Mitrokhin, le elezioni, i finti brogli e quelli (forse) veri. E poi l’indulto: “Da Mastella un altro insulto: / “Dedichiamoci all’indulto / per le carceri strapiene. / Se facciam le cose bene, / dalle celle tiriam fuori / i corrotti e i corruttori, / più efficienti del Berlusca”. / La domanda è molto brusca: / “Sono questi i risultati / per i qual vi abbiam votati?”. Gli eterni inciuci dei D’Alema Boys (“Prodi vuol partir dal basso. / Noi per fare il giusto passo / proponiamo questo tema: / fare a meno di D’Alema”). Berlusconi, sempre più allupato, confida nelle “erezioni” anticipate. Vittorio Emanuele cha cade dal letto a castello del carcere di Potenza (“Nella notte con un volo / è precipitato al suolo, / diventando da Sua Altezza, / com’è giusto, Sua Bassezza”). La signora Anna Serafini in Fassino torna in Parlamento per la quinta volta e ammicca ai teocon, trasformandosi in “Perafini” (“Fra Rutelli e la Binetti, / di Ratzinger chierichetti, / di Fassino la mogliera / ci ricorda tanto Pera”).
Qua e là ho intravisto gli influssi nefasti dei miei libri, dei miei articoli e delle mie conferenze, alle quali – almeno nella cinta daziaria torinese – l’ingegner poeta non manca mai. La cosa un po’ mi ha inorgoglito. Un po’ mi ha provocato invidia, perché lui riesce ancora a ridere delle anime morte della nostra politica, mentre a me sta montando la nausea. Un po’ mi ha fatto sentire in colpa: vuoi vedere – mi son detto – che nella deriva irreversibile di questo signore un tempo normale c’entro pure io? Che anch’io ho contribuito a ridurlo così? Perché ormai non c’è fatto, o fatterello della cronaca politica che non inneschi in lui una profluvie di rime, una più azzeccata e mordace dell’altra. Che sono – d’accordo – una delizia per i lettori. Ma mettetevi nei panni dei suoi parenti e amici. Un giorno o l’altro saranno costretti a difendersi da Cornaglia come i galli del villaggio di Asterix dal bardo molesto Assurancetorix: lo appendevano al ramo di un albero, legato e imbavagliato.