Proemio
In oramai lontane primavere
feci più volte oggetto del mio canto
le intraprese volgar di un Cavaliere
con la figura trista e il vacuo vanto:
sono bastati, a quei tempi là,
la Strofa molto rapida e giocosa,
di quasi fanciullesca levità,
di Talia l’Ispirazion copiosa,
l’Indignazione cara a Giovenale.
Il miserrimo stato e il tempo triste
di un paese malato terminale
mi guidan sulle già battute piste,
più aspro il verso, il metro più severo.
Nove Sorelle, da Voi tutte invoco
l’aiuto contro il bieco Condottiero
e al Vostro chiedo che si aggiunga il Fuoco
di altre divine Ombre ispiratrici,
qual Vergogna, Speranza disperata,
civile Dignità di anni felici,
Certezza del Diritto, adesso odiata,
Disgusto, infine, quanto si conviene.
A Te, mio amato Popolo italiano,
che, udendo le ingannevoli Sirene
di Tivù e Stampa schiave del Caimano,
continui a dar fiducia alle promesse
di un figuro che mai le manterrà
e ti abbandoni, contro il tuo interesse,
a sogni di irreal felicità
dai quali il tuo risveglio sarà amaro,
per la gran delusione ed il rimpianto
di aver creduto al mito del denaro,
dedico questo mio novello canto.