La Renziana Commedia

Prefazione

di Alessandro Di Nuzzo

Che al premier italiano Matteo Renzi – aka Matteuccio da Rignano – piaccia in maniera del tutto particolare esibire, alla prima occasione che si presenti, una forte verve ironicosardonica, una vena canzonatoria pungente o presunta tale, un gusto beffardo peculiarmente toscano contro l’avversario di turno, è cosa nota e acclarata per tutti, ormai.
Non si segnalano, invece, finora particolari casi di risposta “per le rime”, come si usava dire un tempo proprio nella bella Toscana, alle facezie di Matteo. La satira sul protagonista dell’attuale stagione politica langue, come sappiamo. Mancanza di fonti d’ispirazione o prudenza di cabotaggio mediatico che sia, a parte una piuttosto azzeccata parodia TV dell’affettuoso rapporto fra il premier e la prima inter pares dei suoi ministri, poco o nulla è uscito al riguardo.
La penna corrosiva e affilata di Carlo Cornaglia – in questo caso da immaginarsi come penna animale, d’oca vera e propria, visto il genere letterario antico che affronta – non poteva esimersi e ricusare la tenzone, dopo aver fatto a brani – ma lì forse era più facile – il Berlusconi premier con il fortunato poema a lui dedicato qualche anno fa – Berlusconeide, appunto.
Il primo guizzo di pensiero, davvero lodevole, dell’autore è stato perciò quello di “rispondere” all’umorismo renziano ponendosi sul suo stesso piano di geografia e storia letteraria (si perdoni il riferimento al grande Dionisotti). E dunque rispolverare il verso ottonario, che più toscano di così non si può: dal Quant’è bella giovinezza / che si fugge tuttavia di Lorenzo il Magnifico al Teodorico di Verona / dove vai tanto di fretta dell’altro toscanissimo Carducci (ma qualcuno obietterà che l’ottonario più popolare e infisso nella memoria degli italiani sia Qui comincia l’avventura / del signor Bonaventura, che con la Toscana non c’entra molto).
Di fatto, il verso di otto sillabe con l’accento rigorosamente sulla settima è quello da sempre di elezione per le canzoni a ballo, le laudi e i canti carnascialeschi. E una specie di lungo canto carnascialesco può essere definito anche questa Renziana Commedia – il titolo era troppo pertinente per non passar sopra all’obiezione metrica che Dante scriveva in terzine di endecasillabi… Non fermiamoci a guardare il capello della filologia, qui.
Quello che importa è l’effetto di cantilena beffarda: infantile, diciamolo pure. Com’è infantile il mondo di un signor Bonaventura: e come sembrano esserlo tante ormai ben note “uscite” pubbliche del protagonista di questo poemetto.
Resta da dire della concatenazione dei versi.
La quartina di ottonari è tipicissima, più che della letteratura da corte o da salotto, di quel mondo straordinario di parole che è l’opera comica italiana.
E proprio qui, forse, troviamo il vero tono dell’operazione poetica di Carlo Cornaglia. Nel teatro.
Non è forse teatrale quella scena di Matteuccio che esce da Palazzo Chigi trionfante nel giorno della festa della Repubblica e comincia a dare sfoggio di sé al pubblico plaudente come un tenorino di grazia sul palcoscenico di un’opera buffa, prima di sparare la sua aria d’entrata?

Osannato dalla gente:
qui un ciclista sorridente,
lì un papà col passeggino,
là una mamma col bambino

che garrir fa la bandiera,
qua una fan che in Renzi spera.
Fra gli applausi e i “Dai, Matteo!”,
mentre sfila il bel corteo

dell’esercito italiano,
batte il cinque e dà la mano
a chi, dietro le transenne,
giura fedeltà perenne.

Torna, allenta la cravatta
e un continuo osanna scatta
a sinistra, al centro, a destra.
Dal Palazzo una finestra

ad un tratto si spalanca
e Matteo in maglietta bianca
verso il popolo si sbraccia.
Un saluto? Una minaccia.

Sì. Renzi, alla fine, è un Nemorino che, venuto anche lui dal contado con tutti i suoi pregi e i molti difetti, si aggira sul palcoscenico della commedia politica italiana cercando l’elisir che tutto guarisce e poi spacciandone a sua volta l’efficacia per tutti i mali nazionali.
Ma soprattutto cantando, perché Renzi canta! Canta alle orecchie degli italiani la bella canzone che sempre essi si vogliono sentir cantare.
Ed ama. Chi sia la sua Adina, sarebbe sin troppo facile dirlo. Ma egli ama la vita, il sole, Firenze e l’Italia tutta, che se solo torna ai suoi sensi e zittisce i soliti quattro eterni gufi, si ritrova ad essere quella che è: il più grande e bel Paese del mondo. Questa è la canzone renziana. Pazienza se al popolo, ogni tanto, sfugge una furtiva lacrima. È la sofferenza d’amore: quella che inevitabilmente segna il legame fra detto popolo italico e il suo taumaturgico leader, oggi come ieri (Berl.) e come ier l’altro (Ben.).

PS.
Attenzione, però. Per chi pensasse a questo divertimento in rima come ad un polveroso gingillo del passato per incanutiti lettori, leggiamo su Wikipedia che «attualmente l’ottonario viene utilizzato anche nei testi di alcuni cantanti Rap, come ad esempio Fedez in Cigno Nero, che ne sfruttano la capacità di semplice memorizzazione.

Il tuo cuore batte a tempo
ritmo nuovo mai sentito… ».

La notizia ci fa immenso piacere. Il più stupidello dei versi italiani trionfa anche nelle ballate contemporanee di quei poeti del quotidiano che sono i rappers di Quarto Oggiaro. Perfetto, il cerchio si chiude. L’Italia – e la figura di Renzi ce lo ricorda ogni giorno – conserva questa incredibile qualità di essere sempre, imperfettamente, coerente a se stessa.

 

Il perché di questo libro

Perché un altro libro su Renzi? Molti autori hanno affrontato l’argomento sia in forma biografica sia col racconto delle varie fasi della sua carriera politica (presidente della provincia, sindaco, scalatore del PD, Presidente del Consiglio) sia nelle vesti di comunicatore, salvatore del Paese, grande riformatore.
Credo che l’originalità di questo contributo sia da ricercare nel tentativo di conciliare una analitica cronistoria delle sue gesta con l’ironia e la leggerezza di un’esposizione in rima, ottonari a rima baciata alla signor Bonaventura, particolarmente adatta al modo di operare di Renzi che va sempre di fretta in odio ai riti della vecchia politica.
Certo, studiando il personaggio, consultando i libri su di lui, mettendo ordine nella serie infinita di articoli di giornali, la leggera ironia si è presto trasformata in un sentimento di indignazione e di sincera preoccupazione per il futuro, tramutando l’iniziale leggerezza in operazione di denuncia.
La convinzione, legittima in ogni autore, di scrivere un libro necessario non può che partire in questo caso da alcune considerazioni sullo stato della comunicazione nell’era Renzi. Il personaggio è ormai padrone della scena, la gran parte dei media si è posizionata a suo favore, la sua presenza in televisione è ossessiva, tanto da offuscare la insopportabile invasione dei canali da parte del Cavaliere in altri tempi. A ciò contribuisce anche il superego del golden boy che fa della sua presenza la misura del suo successo.
Qualunque avvenimento di carattere, se non eccezionale per lo meno fuori del normale, lo deve vedere come protagonista che tenta di soverchiare i protagonisti veri. Di qui la corsa a New York per la finale di un torneo internazionale fra due tenniste italiane, la visita ai velisti italiani in allenamento negli USA, l’invito a Palazzo Chigi degli schermitori che hanno conquistato un podio in Russia, la patetica apparizione in mimetica fra i curdi impegnati contro l’Isis, il desiderio di fare proprie le gesta dell’astronauta Samantha Cristoforetti, i presunti trionfi di Marchionne, i risultati ottenuti dai cervelli italiani fuggiti all’estero contrabbandati come campioni inviati dal Paese alla conquista del mondo.
Come disse Montanelli di Berlusconi: «Vorrebbe sempre fare la sposa ai matrimoni e la salma ai funerali».
Le tante ricerche di visibilità vengono anche utilizzate come armi di distrazione di massa da usare quando, e capita sovente, desidera oscurare vicende che possano appannare la sua leadership.
A tutto ciò si aggiungono le cronache degli incontri politici, delle tante inaugurazioni, delle conferenze stampa, dei continui lanci di nuove strabilianti riforme con lo scopo di far dimenticare quelle lanciate in precedenza già fallite o ancora vaganti nei meandri della burocrazia o nel labirinto dei ricatti degli alleati di governo.
Questa ossessiva e continua presenza dello statista di Rignano viene accompagnata da una sempre più estrema povertà della dialettica politica. La comunicazione 2.0 e la legge dei 140 caratteri non concedono tempi di riflessione, analisi dei contenuti, articolazione delle controproposte. La risposta alla controparte deve essere immediata, la contrapposizione senza sfumature in una continua rincorsa al degrado della politica. Il tweet di Renzi che risponde al gufi rosiconi ha preso il posto del dito medio di Bossi, stessa oscenità, stessa irrisione, stessa rottura di ogni comunicazione.
Da un quadro del genere nasce legittimo il desiderio di cercare le cause del degrado nella storia delle gesta del nostro eroe. Così è nata la biografia in rima, il desiderio di «illustrare in modo ironico le qualità di un personaggio con il quale non ho la minima sintonia. Per molte ragioni: i suoi trascorsi, la sua filosofia di vita, i suoi programmi, il suo modo di proporsi, il suo desiderio di incantare i semplici, la sua certezza di essere sempre nel giusto, la sua irritante volubilità, la sua ostinata arroganza, la sua mania di persecuzione, il suo disprezzo per gli interlocutori non consenzienti, la sua costante denigrazione degli avversari, la sua totale ostilità verso qualunque giudizio critico nei suoi confronti».
Ho virgolettato queste considerazioni perché in realtà furono scritte non per Renzi, ma per Berlusconi nella prefazione del mio primo libro, “Sua Presidenza”, pubblicato nel 2002. E questo dice già molto.
Il libro illustra in sequenza cronologica, riportata anche in prosa in ogni capitolo, i passi di Renzi dalla nascita al compimento del secondo anno di governo, nel febbraio scorso. Dalla lettura risulta evidente che da sempre e in modo ripetitivo il boy scout approdato alla politica gioca gli stessi ruoli in commedia, quelli del fanfarone (i compagni di liceo lo chiamavano il Bomba) e del rottamatore, in realtà non dell’obsoleto, ma di chiunque non condivida le sue idee e non si inchini alla sua indiscutibile superiorità.
Da venticinque anni non fa che lanciare nuovi programmi, disegnare libri dei sogni, impegnarsi in promesse mirabolanti a getto continuo. Perché ogni nuova proposta deve far dimenticare quella precedente, come il debitore che fa nuovi debiti, sempre più grandi, per estinguere quelli precedenti.
Da venticinque anni con un’etichetta di sinistra fa una politica di destra realizzando il Piano di Rinascita democratica di Licio Gelli e piazzando schiere di sodali e di conterranei nei ruoli di governo e di sottogoverno. Da quindici anni, forse più, Verdini, già in affari come editore con il padre di Renzi, distributore di giornali, lo ha preso sotto le sue ali protettive e lo ha guidato alla conquista dei consensi di destra, sulla via del partito della Nazione. Undici anni fa lo ha presentato a Berlusconi in visita a Firenze e lì è nato, se non un amore, qualcosa di simile a una nefasta complicità.
Verdini non solo ha aiutato Renzi a diventare sindaco di Firenze, prima facendolo votare dai forzisti alla primarie e poi contrapponendogli un candidato debole come Galli, ex portiere del Milan, ma ha anche tentato nel 2012 con il piano della Rosa tricolore di farlo diventare leader della destra per conto di Berlusconi. Solo i casi della vita e l’eterno masochismo del PD lo hanno fatto leader di un centrosinistra non più tale. Nessuna sorpresa perciò per un Verdini felicemente approdato alla maggioranza di governo.
Ora siamo all’ultima promessa. L’eliminazione del bicameralismo con una profonda modifica della Costituzione che, accoppiata all’Italicum, la nuova legge elettorale anticostituzionale come il Porcellum, nasconde la trasformazione della Repubblica da parlamentare a presidenziale, aumentando in modo estremamente pericoloso i poteri dell’esecutivo e del Presidente del Consiglio.
Solo il No degli elettori al prossimo referendum sulle modifiche costituzionali può salvare il Paese in extremis.
È ciò che si auspica nell’ultima pagina del libro.

Carlo Cornaglia

 

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