Pace all’anima sua

Nel Pantheon di Italia viva alle pareti esce Gramsci ed entra l’ex premier.
(la Repubblica, 12 febbraio 2020)

Pace all’anima sua

Disse Zinga di recente:
“Il Pd sarà accogliente,
porte aperte a pluralismo,
giovani ed ambientalismo,

alla società civile
ed al mondo femminile.
Parleremo con sardine,
polpi, vongole ed ombrine.

Noi sarem sul territorio,
per la gente ambulatorio,
promotor di coesistenza,
oasi di buona accoglienza”.

Zinga è stato di parola?
No, purtroppo è un’altra sola.
C’era in via dei Giubbonari
e poi in via dei Cappellari

una sede del Pd,
fin dai tempi del Pci
ricca di gloriose storie
e antichissime memorie.

Lungo i muri i bei ritratti
della Iotti e di Togliatti,
di Luigi Petroselli,
Gramsci, il meglio dei cervelli

del Partito comunista,
senza dubbi l’apripista
nel difendere il decoro,
i diritti ed il lavoro

nel lottar contro il poter.
Solo Moro e Berlinguer
son rimasti alle pareti,
gli altri ormai sono obsoleti

e pertanto fatti fuori.
Del Pd i sostenitori
son ridotti al lumicino,
non c’è il becco di un quattrino

per pagare la pigione.
Addio alla rivoluzione
di un Pd che più accogliente
vuole conquistar più gente!

Che presidia il territorio!
Lo smammare è obbligatorio.
Chi subentra? Italia viva!
Ecco il golden boy che arriva.

Oltre al suo ritratto enorme
lungo i muri Miss Riforme,
le Leopolde in manifesto
e un renziano slogan, questo,

sul ritratto del figuro:
Il ritorno al futuro”.
C’era in via dei Cappellari
un ploton di carbonari,

tutti iscritti del Pd…
Quattro quinti o giù di lì
son passati con Matteo
con un grande Marameo!

a Nicola, il segretario
di un partito funerario
giunto all’ultimo ritrovo.
Altroché partito nuovo!

blog MicroMega, 5 marzo 2020

Zinga rock

La sfida di Zingaretti: “Vecchio Pd addio, ecco la mia svolta”.
(la Repubblica, 11 gennaio 2020)
Tanti sì al nuovo Pd.
(la Repubblica, 12 gennaio 2020)
Nardella: “Bene questo segretario rock. Guai però se si guarda solo a sinistra”.
(ibidem)
Zingaretti annuncia “il partito nuovo”, Franceschini e gli ex renziani già dicono no.
(il Fatto Quotidiano, 12 gennaio 2020)
Achille Occhetto. L’ultimo segretario del Pci commenta l’ipotesi di sciogliere il Pd: “Serve una costituente vera di tutta la sinistra”. “Caro Zingaretti, non farti stritolare dalle lotte di potere”.
(il Fatto Quotidiano, 16 gennaio 2020)

Zinga rock

“Elettor piddino, ascolta:
il partito è ad una svolta!”
“Chi l’ha detto?” “Zingaretti”.
“C’è da dubitarne, ammetti…”.

Troppe volte ha già svoltato
ed è sempre peggiorato.
Ottantuno. Berlinguer
disse del rosso poter:

“La rivoluzion si è estinta,
si è esaurita la sua spinta”.
Nell’ottantanove Occhetto
fa una svolta a grande effetto,

quella della Bolognina
e il Pci manda in cantina
poco più di un anno dopo
a finire come un topo.

Così arriva il Pds
con le conseguenze annesse:
via la falce, via il martello
ed al posto un alberello,

una quercia verde vivo.
Dalla quercia vien l’Ulivo,
coalizion litigarella,
al timone Mortadella.

Novantotto, un’altra svolta:
i Ds questa volta
la sinistra ha generato.
Se non zuppa è pan bagnato.

Passa un lustro, poco più
e con tredici tribù
i Ds fan l’Unione,
un mostruoso carrozzone

dove litigare è un must
e la lingua corre fast.
Finché nel duemilasette,
come narran le gazzette,

i compagni e i genuflessi
come due sposi promessi
con amor senza entusiasmo
ed un coito senza orgasmo

partoriscono un partito
che fin dal primo vagito
mostra d’essere un neonato
dal futuro complicato,

nonostante il veltroniano
“Yes, we can!”, stile obamiano.
Sette anni, arriva il Bomba
e nell’aria ancor rimbomba

la promessa dell’arnese:
“Farò una riforma al mese!”
Poi sappiam com’è finita:
coca cola e ribollita.

Desta quindi gran sospetti
il bla bla di Zingaretti:
“Dopo il ventisei gennaio,
sia l’Emilia un trionfo o un guaio,

una gran vittoria o un lutto,
fo’ un congresso e cambio tutto
nel Pd oramai sfinito.
Non farò un nuovo partito,

ma farò un partito nuovo,
un piacevole ritrovo
non sol per le madamine,
ma per sindaci e sardine,

per i verdi e i sindacati,
per i giovani emigrati,
per la società civile,
per il mondo femminile.

Apertura, innovazione,
un partito di persone,
del “Noi” e non più dell’ “Io”
e del “Nostro”, non del “Mio”!

La sinistra non è un covo
bensì un orizzonte nuovo,
contendibile, inclusiva,
sempre attenta ed attrattiva.

Nome e simbolo? Vedremo,
se essenzial li cambieremo!”
Quanti leader del Pd
si impegnarono così

con un quattro poi in pagella?
Ma entusiasta n’è Nardella:
“Quant’è rock il segretario!”
La moral, caro diario:

“Sì Nicola è proprio tosto,
tanto fumo e poco arrosto.
Sì lo Zinga è proprio rock,
poco arrosto e tanto smoke!”

blog MicroMega, 20 gennaio 2020

Un uomo solo al comando

Craxi e il format dell’uomo solo al comando.
(il Fatto Quotidiano, 29 marzo 2015)

Un uomo solo al comando

C’era una volta un grande cinghialone
con superego quasi sovrumano,
lo stesso che possiede un fanfarone
che quarant’anni fa nacque a Rignano.

Era allora il Partito socialista
distrutto dalla lotta fra correnti,
con miniboss l’un contro l’altro in pista
e militanti servi e ininfluenti,

con la struttura chiusa e polverosa
e con a capo De Martino, il niente,
che sognò inciuci con la numerosa
armata di un Pci molto potente.

Parea lo Psi il partito di Bersani
pronto all’inciucio con il Cavaliere.
Comparve a un tratto in quegli anni lontani
Bettino Craxi quale timoniere

verso un futuro col Rinnovamento,
l’equivalente del tosco compare,
della politica nuovo portento,
che per cambiare vuole Rottamare.

Allora ballerine, cortigiani,
piramidi, fanfare, acclamazioni
ed oggi gigli magici toscani,
ministre in fiore, servi ed ovazioni.

Allora creduloni come adesso,
la presa del potere in poche ore,
in direzion Matteo, Craxi al congresso,
entrambi accolti come il Salvatore.

Con la sinistra sempre scontro interno,
allora come oggi in gemellaggio,
una sinistra all’assalto eterno
delle poltrone per il suo equipaggio.

Le stesse immagini di un bel partito
che mentre scende in campo sgomitando
vuole mostrarsi assai ringiovanito
al seguito di un sol uomo al comando.

Lo stesso sprezzo per il Parlamento
considerato losco frenatore,
lo stesso popolo che sal contento
sul carro del precario vincitore.

La stessa sudditanza dei giornali,
le stesse azion per il controllo Rai,
la stessa dedizione agli industriali,
lo stesso bla bla bla da parolai.

La stessa guerra fatta al sindacato
quando la scala mobile sparì
ed oggi col Jobs Act che ha eliminato
l’articolo diciotto lì per lì.

Per la destra la stessa deferenza
del Caf ai tempi del terzetto osceno
ed oggi con l’ignobile indecenza
del patto Renzi-Silvio al Nazareno.

La stessa guerra contro i magistrati
perché diventin sempre più impotenti,
col sogno che un bel dì sian processati
al posto dei sodali delinquenti.

Lo stesso orrore per i giornalisti,
i pochi che al poter pestano i calli,
che al giorno d’oggi in tempi molto tristi
son diventati i gufi e gli sciacalli.

Lo stesso sprezzo per gli intellettuali
che Craxi definì in altre stagioni
con grossolanità dei miei stivali
ed oggigiorno son professoroni.

Non sembra errato dir che il fiorentino
che tanti creduloni ha, ahimè, plagiati
sia l’erede diretto di Bettino,
il cinghialone che ci ha rovinati.

Agli italian non resta che sperare
che il campione dei tweet in internet
in un doman la fine possa fare
del malfattor fuggito ad Hammamet.

Nota. Questa poesia è stata ispirata dall’articolo di Antonio
Padellaro “Craxi e il format dell’uomo solo al comando
uscito sul Fatto Quotidiano del 29 marzo 2015

blog MicroMega, 7 aprile 2015

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