Lecca tu che lecco anch’io

Renzi: “Hanno eletto il vice disastro”. Parla l’emergente: il nuovo leader? Un’occasione persa.
(la Stampa, 23 febbraio 2009)
Nel 2009 era la “Barack Obama” del Pd. Oggi il governatore del Friuli ha alcuni seri grattacapi.
Non soltanto giudiziari.
(Panorama, 28 agosto 2014)
Metamorfosi. La neorottamatrice Finocchiaro. Dall’Ikea a zia costituente, ecco “Annuzza”, la renziana.
(il Fatto Quotidiano, 20 settembre 2015)
Si scrive Orfini, si legge pallina da flipper.
(il Fatto Quotidiano, 8 marzo 2016)

Lecca tu che lecco anch’io

Dal dì in cui salì al potere
quell’ignobile messere
che il Paese sfascerà,
ploton di quaraquaquà

sul suo carro son saliti
in un lampo convertiti,
grazie alla matteomania,
alla sua filosofia.

Insensibili al passato,
traditor di chi han leccato
per lucrar qualche favore,
l’indole del servitore

li portò al nuovo padrone
con la lingua già in funzione.
Franceschini fu il più lesto:
veltroniano manifesto,

fu di Walter un pilastro,
tanto che vice disastro
di un Veltroni disastroso
lo chiamò il toscan moccioso.

Matteo in cambio dell’abiura
gli ha donato la Cultura,
ma ora Dario Franceschini,
visto Renzi nei casini,

corre per il suo domani,
scherzi fra democristiani.
Poi ci fu la Finocchiaro,
per i comunisti un faro,

una guida, un’epopea,
ma il carrello dell’Ikea
manovrato dalla scorta
fu una mossa malaccorta,

un errore madornale.
“Anna cara, il Quirinale
te lo scordi, marameo!”,
fu brutal quel dì Matteo

Anna con grande pazienza
occultò l’incompetenza
di una giovane avvocata
dal ducetto destinata

a cambiar Costituzione.
Con la Boschi, quel briccone
di Verdini ed il sodale
Giorgio in vetta al Quirinale,

diventò renzianamente
una zia costituente,
conquistandosi il premier
da leccar come un bignè.

Terza vien la Serracchiani,
fiera stirpe di friulani.
Fu fantastico il suo inizio
nel parlare ad un comizio

fra i seguaci del Pd.
Quando Debora esordì
Franceschini entusiasmò
e alla Ue lui la piazzò,

trasformando quella donna
in Obama con la gonna.
Dopo Franceschini Dario
di ogni nuovo segretario

la frangetta sbarazzina
diventò fedel lecchina:
il secondo fu Bersani,
terzo poi venne Epifani

fino a giungere a Matteo
che la porta all’apogeo
come vice segretaria,
con scalata straordinaria.

Ma che dir di Matteo Orfini,
il più fido dei lecchini
del ducetto di Rignano?
Partì fiero dalemiano,

giovin turco battagliò
in favor di Walterloo,
per poi diventare in fretta
il lacchè di quel fighetta

di Matteo che fa il prodigio
di arruolarlo al suo servigio.
Diventato Presidente,
lecca Orfini bravamente

il toscano timoniere,
con la lingua a formichiere.
Ma non è il capo protervo
che vuol arruolare un servo,

è chi è nato servitore
che va in cerca di un signore.
Come Debora ed Orfini,
Finocchiaro e Franceschini.

blog MicroMega, 13 ottobre 2016

Matteo Orfini e il DNA

Matteo Orfini e il DNA

Se uno ha l’indole da schiavo
e passione per lo sbavo
trova sempre un tirannello
al qual può baciar l’anello.

Non è il capo che, protervo,
cerca di arruolare un servo,
è chi è nato servitore
che va in cerca di un signore.

Un esempio? Matteo Orfini,
il più fido fra i lecchini
del ducetto di Rignano.
Un dì fiero dalemiano,

giovin turco battagliò
con Veltroni Walterloo
per poi diventare in fretta
il lacché di quel fighetta

che con frottole a vagoni
burla i tanti creduloni.
Quando Renzi con la clava
nel suo ruolo debuttava

Matteo Orfini disse tosto:
“Io la penso in modo opposto
sull’articolo diciotto
e mi sembra da rimbrotto

l’affermar che il liberismo
sia sinistra. Il marchionnismo,
quello senza se né ma,
a me proprio giù non va!”

E più tardi ha ribadito:
“Siamo ai poli del partito,
col Jobs act di cui va fiero
fa gli error della Fornero

e distruggere il contratto
a me sembra assai malfatto.
Con la decontribuzione
il lavoro è un’illusione:
lla fine degli aiuti,
addio con tanti saluti!”
Poi il ducetto fa un prodigio:
prende Orfini al suo servigio,

del partito Presidente
e Matteo immediatamente
da severo oppositore
si trasforma in servitore.

Con il cul sulla poltrona
a Marchionne si appassiona
e le idee cambia di botto
sull’articolo diciotto.

Le riforme della Boschi
non daran più tempi foschi,
ma un futuro luminoso.
E chi, misericordioso,

di Marino aveva detto:
“Come sindaco è perfetto!”,
dopo che lo scout Matteo
lo ha additato come reo,

cambiò subito opinione:
“Quel Marino è un mascalzone,
il campion degli scontrini
è il peggior dei malandrini!”

Questo è Orfini, il Presidente,
un che va tenuto a mente
come emblema dello schiavo
eccellente nello sbavo,

nel leccaggio del sedere.
Uno che fa il cameriere
senza dubbi e senza ambasce
poiché servitor si nasce.

blog MicroMega, 8 aprile 2016

Democrista nullità

Letta style, la sottile arte del governo provvisorio.
(il Fatto Quotidiano, 7 luglio 2013)

Democrista nullità

Il premier Letta ha lo stile
del perfetto baciapile
tartufesco e farisaico,
di chi vuol passar per laico

mentre è un vero democristo:
“Mi destreggio, quindi esisto…”.
Andreottiana è la sua scuola,
vivacchiare è la parola

che giammai gli viene a noia,
pur di non tirar le cuoia.
L’uom che vive al Quirinale
chiamò Letta al capezzale

di una pressoché stecchita
Nazion da tenere in vita
con cristiano accanimento:
fleboclisi, nutrimento

del paziente col sondino,
preci, ossigeno e un santino.
Come un grande luminare
Letta ha preso a lavorare

circondato dal fior fior
di infermieri e di dottor,
bravi come macellai
ed in lite come mai.

Con la cura palliativa
che non fa tornare viva
la Nazione quasi morta,
il dottore tutti esorta

ad aver tanta fiducia
in chi coi banditi inciucia,
anche quello più nefando.
Se qualcuno chiede quando

la paziente sarà salva
il dottore, testa calva,
ogni giorno fa promesse,
per lo più sempre le stesse,

per rimetter tutto in sesto:
“Farò quello, farò questo!”
Poi, però, non lo fa mai
e ogni dì crescono i guai.

Tranquillizza i creditori,
piange sui lavoratori
senza soldi a metà mese,
finge di aiutar le imprese,

gli esodati ed i precari,
ma dà i soldi ai militari
perché si comprino i caccia.
Alla Ue spesso si affaccia

richiedendo questo e quello,
ma gli dicono: “Pivello,
di quattrini non ce n’è
e ciascun pensi per sé”.

Disfa quel che ha fatto Monti
e per dir: “Partiamo, pronti!”
l’ok vuole di Brunetta.
Questo sacrestan fighetta

ogni giorno si ripete,
biascicando come un prete
che farfuglia il suo rosario:
“Fare quello è necessario,

è essenziale fare questo
per por fine al gran dissesto
e se spunta qualche veto,
farò subito un decreto!”

In realtà poi va in vacanza
e la fine lesta avanza
per il povero Paese.
Per il cul non lui ci prese,

ma chi sta sull’alto Colle
il qual come premier volle,
con perfidia comunista,
questa larva democrista.

8 agosto 2013

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