Matteo Orfini e il DNA
Se uno ha l’indole da schiavo
e passione per lo sbavo
trova sempre un tirannello
al qual può baciar l’anello.
Non è il capo che, protervo,
cerca di arruolare un servo,
è chi è nato servitore
che va in cerca di un signore.
Un esempio? Matteo Orfini,
il più fido fra i lecchini
del ducetto di Rignano.
Un dì fiero dalemiano,
giovin turco battagliò
con Veltroni Walterloo
per poi diventare in fretta
il lacché di quel fighetta
che con frottole a vagoni
burla i tanti creduloni.
Quando Renzi con la clava
nel suo ruolo debuttava
Matteo Orfini disse tosto:
“Io la penso in modo opposto
sull’articolo diciotto
e mi sembra da rimbrotto
l’affermar che il liberismo
sia sinistra. Il marchionnismo,
quello senza se né ma,
a me proprio giù non va!”
E più tardi ha ribadito:
“Siamo ai poli del partito,
col Jobs act di cui va fiero
fa gli error della Fornero
e distruggere il contratto
a me sembra assai malfatto.
Con la decontribuzione
il lavoro è un’illusione:
lla fine degli aiuti,
addio con tanti saluti!”
Poi il ducetto fa un prodigio:
prende Orfini al suo servigio,
del partito Presidente
e Matteo immediatamente
da severo oppositore
si trasforma in servitore.
Con il cul sulla poltrona
a Marchionne si appassiona
e le idee cambia di botto
sull’articolo diciotto.
Le riforme della Boschi
non daran più tempi foschi,
ma un futuro luminoso.
E chi, misericordioso,
di Marino aveva detto:
“Come sindaco è perfetto!”,
dopo che lo scout Matteo
lo ha additato come reo,
cambiò subito opinione:
“Quel Marino è un mascalzone,
il campion degli scontrini
è il peggior dei malandrini!”
Questo è Orfini, il Presidente,
un che va tenuto a mente
come emblema dello schiavo
eccellente nello sbavo,
nel leccaggio del sedere.
Uno che fa il cameriere
senza dubbi e senza ambasce
poiché servitor si nasce.
blog MicroMega, 8 aprile 2016