Confindustria e la Ferrari
furon i primi arengari,
Montezemolo lo prese
per il buon politichese
nel team di Italia futura,
poi finì per sua sciagura
nel partito bocconiano
per dar a Monti una mano
nell’andare in fallimento.
Ma è chi mai tale portento?
Chi è quest’uomo da tregenda?
Il suo nom? Carlo Calenda,
un che giunse all’apogeo
nel governo di Matteo.
Nel momento del collasso
per portare ancor più in basso
i tapini del Pd
meditò e poi disse: “Sì,
ne divento tesserato”,
l’unico che si è aggregato.
Il Pd non lo cagò
e Calenda si incazzò:
“Se nessun mi tiene in conto
ad andarmene son pronto”.
Si aspettava una sommossa:
“Finiremo in una fossa
se Calenda se ne va!”
“Del Pd che ne sarà?”
“Voglia Iddio che non s’involi
se no resteremo soli!”
“Carlo è ormai la nostra droga!”
Ma nessun piange o si sfoga,
nessun muove un sopracciglio
nonostante il suo cipiglio.
Non se ne va via Calenda
per scansar la cosa orrenda
di un accordo con Di Maio:
“Quello sì sarebbe un guaio!”
Resta immobile il partito
di pop corn ben rifornito
per assistere al disastro
del bel trio giallo verdastro
Conte, Lega, Cinque stelle.
“Ne vedremo delle belle!”
Anarcoide sovranismo
li chiamò col suo lirismo
il Calenda di quei dì
che ”Ora andiam oltre il Pd!”
disse con far da stratega,
ma nessun fece una piega.
La sua mente scatenata,
offrì un’altra calendata:
“Un repubblicano fronte
intravedo all’orizzonte
per salvar questo partito!”
ma nessuno mosse un dito
a eccezione d’un Savoia
che ha sbraitato: “Porca troia,
è un’idea proprio tremenda!”
Instancabile Calenda
corre come uno stallone
“Voglio entrare in Direzione
per mandar tutto in rovina
sotto l’ala di Martina!”
ma Martina, che follia!,
preferisce la Madia.
“Ma che Direzione è questa? –
il petit Macron protesta –
a me sembra un harakiri!”
La moral per gli elzeviri?
Predica, conciona, ciancia
ma è sol Renzi con più pancia.